I cittadini residenti in Italia sono obbligati a dichiarare nel loro paese tutti i redditi, ovunque percepiti, anche all’estero (art. 3 del TUIR 917/1986 – L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10)

Molti credono di essere fiscalmente residenti all’estero, e quindi di non avere più obblighi fiscali in Italia,  per il solo fatto essersi trasferiti in un altro stato, nulla di più sbagliato.

Il trasferimento all’estero, per essere considerato tale anche dal fisco italiano, deve riguardare tutti gli interessi vitali del soggetto (moglie, figli, lavoro, ecc.). Se non si trasferisce il centro degli interessi vitali, per il fisco italiano si rimane soggetti alla potestà impositiva nazionale. In questo caso si pagheranno le imposte sia all’estero che in Italia.

Onde evitare un aggravio insopportabile, il fisco italiano riconosce ai propri cittadini un credito per le imposte pagate all’estero.

Non ci sarà una doppia imposizione solo qualora il lavoratore sia rimasto all’estero per meno di 183 giorni e la sua retribuzione sia stata pagata da un datore di lavoro italiano, che non ha una stabile organizzazione all’estero (es. lavoro in un cantiere temporaneo in Belgio di un appaltatore nazionale).

Il credito per le imposte pagate anche all’estero, sarà, tuttavia, decurtato proporzionalmente se in Italia, invece di assumere la retribuzione effettivamente percepita, si assume la retribuzione convenzionale definita con decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (es. retribuzione effettiva percepita all’estero euro 86.000, retribuzione convenzionale 52.000, rapporto tra retribuzione effettiva e retribuzione convenzionale 60%, in questo caso il credito riconosciuto, per le imposte pagate all’estero, sarà solo il 60% del totale pagato)